Le piramidi non vennero costruite da schiavi

La spianata di Giza

Una delle prime cose che saltano in mente a un Occidentale a sentir parlare dell’Egitto sono le piramidi, i maestosi complessi funerari innalzati come tomba o cenotafio dei faraoni delle antiche dinastie (dalla III alla XIII) che regnarono sul paese, e costruite tra XXVIII e XVIII secolo a.C. (clicca qui per visualizzarne le posizioni sulla cartina). A esse è associato anche uno dei luoghi comuni sull’Antico Egitto più duri a morire: frotte di schiavi che sotto colpi di frusta spingono i pesanti blocchi delle piramidi. Anche uno dei fumetti che mi sono più cari, Nilus dei fratelli genovesi Franco e Agostino Origone, cavalca questo luogo comune.

E invece, la maggior parte delle tombe dei faraoni furono edificate da operai salariati.

La conferma viene dagli scavi archeologici nella piana di Giza effettuati nel 1990 da Zahi Hawass e Mark Lehner, che hanno portato alla luce le tombe dei manovali che 4.500 anni fa parteciparono alla costruzione delle piramidi di Cheope e Chefren: erano egizi e non schiavi (che in Egitto erano soltanto prigionieri di guerra stranieri). Come afferma Hawass, ”se i lavoratori fossero stati schiavi, non avrebbero potuto costruire le loro tombe a fianco a quelle dei faraoni”.

Durante l’Antico Regno (2686-2173 a.C.) i grandi progetti di interesse nazionale, piramidi ma anche dighe, erano affidati alla popolazione locale, tenuta a un periodo di lavoro obbligatorio in occasione delle piene del Nilo, quando i campi non erano coltivabili. Lavorare per l’ultima dimora del faraone garantiva un ottimo vitto: le famiglie più ricche inviavano ogni giorno 21 vitelli e 23 montoni ai cantieri, in cambio di sgravi fiscali.

Poteva però capitare che vettovaglie o salari arrivassero in ritardo. Allora gli operai si “coricavano”, secondo l’espressione egizia, ovvero scioperavano. Secondo le testimonianze che ci sono pervenute accadde varie volte: una delle più importanti descrizioni è in un papiro conservato al Museo Egizio di Torino, che riporta le proteste avvenute nel 29° anno di regno di Ramses III (intorno al 1180 a. C.). Si tratta di un’epoca successiva alla costruzione delle piramidi, durante la quale, però, gli operai addetti alle tombe monumentali (per esempio nella Valle dei Re) avevano a disposizione villaggi dove vivere comodamente, con tanto di scuole.

Valle dei Re, tempio di Hatshepsut

Valle dei Re, tempio di Hatshepsut

Come nacque allora la credenza? Esistono effettivamente delle piramidi che vennero effettivamente costruite grazie al lavoro di stranieri (per la piramide di Amenemhat II, risalente al Medio Regno, esistono prove dell’utilizzo di stranieri provenienti dalla Palestina, come descritto sulla pietra tombale del re), ma a questo troveremo velocemente una spiegazione. La responsabilità maggiore fu degli storici greci come Erodoto che non riuscirono a immaginare la costruzione di quegli edifici senza l’impiego di masse di schiavi, ma anche della Bibbia, dove si dice che la schiavitù era largamente diffusa in Egitto (ma la presenza degli Ebrei in Egitto, citata dalla Bibbia, è molto posteriore al periodo delle Piramidi).

Ciò che è importante è che il concetto di “schiavo” non era lo stesso per gli Egizi e i Greci. Durante l’Antico Regno come già detto era necessaria la partecipazione volontaria dell’intera popolazione per costruire canali d’irrigazione, grandi infrastrutture o opere militari. Gli unici completamente privi di libertà erano i prigionieri di guerra, generalmente Libici e Nubiani. Il termine egizio per designarli significava “morto vivo” o “vivi per uccidere“. A essi venivano affidati i lavori domestici, anche se i più sfortunati finivano nelle miniere. Nel Primo Periodo Intermedio (2173-2040 a.C.) al mercato asiatico si compravano schiavi, i cui figli erano a loro volta schiavi. Durante l’Antico Regno l’unica forma di “schiavitù” conosciuta, a parte i prigionieri di guerra, era la corvée o lavoro forzato nelle campagne (tipica anche dei servigi resi al signore feudale in Europa). I ricchi pagavano per esentarsi da tale obbligo, mentre i più poveri dovevano piegarvisi e se tentavano la fuga, venivano puniti con la schiavitù a vita. La situazione dei servi del faraone, era invece diversa, essendo in genere prigionieri di guerra o criminali comuni. A partire dal Medio Regno (2040-1786 a.C.), se qualcuno di loro tentava di fuggire veniva condannato a morte. Malgrado tutto, gli schiavi venivano comunque trattati bene dai loro padroni, anche perché questi ultimi potevano essere denunciati se li maltrattavano o se abusavano di loro.

nilus_schiaviIl termine “schiavo” si può adoperare a partire dalla fine del Medio Regno (2040-1786 a.C.) e per tutto il Nuovo Regno (1552-1069 a.C.), ma come visto solo durante 200 dei 1000 anni indicati videro la costruzione di piramidi (durante i quali venne costruita la tomba di Amenhemat II). Per lo più si trattava di stranieri che potevano ottenere la libertà se entravano a far parte dell’esercito. Ci furono anche casi in cui furono gli Egizi stessi, a causa della estrema povertà, a vendersi, e casi in cui la schiavitù era la condanna comminata per un crimine. Gli schiavi potevano essere venduti o dati in prestito. Di norma, ricevevano un buon trattamento, possedevano proprietà, e potevano persino sposarsi con un membro della famiglia nella quale avevano prestato servizio. Un esempio è contenuto nel Papiro dell’Adozione: “Comprammo la schiava Dienihatiri che mise al mondo tre figli, un maschio e due femmine. E io li ho adottati, nutriti ed educati, e fino al giorno di oggi essi non mi hanno mai arrecato danno; al contrario, mi hanno trattato bene, e io non ho altri figli né figlie che loro.(…) Ecco, io li ho liberati , e se ella mette al mondo un figlio o una figlia, essi saranno liberi“. La tratta degli schiavi si sviluppò sotto il regno Tolemaico.

Le persone impegnate in lavori domestici venivano chiamati nell’Antico Regno merkhet, ossia, “dipendenti”. Essi non erano schiavi dal momento che, finito il tempo della corvée, tornavano alle loro abituali occupazioni. Con la fine dell’Antico Regno, fece la sua comparsa una forma di lavoro che può essere considerata come una forma di schiavitù. Lo sfaldamento dell’unità dello Stato faraonico e l’incontrollato potere raggiunto da alcuni alti funzionari, come i nomarchi, fece sì che alcuni di essi travalicassero i limiti delle loro funzioni e commettessero abusi. Uno dei soprusi più tipici consisteva nel prendere giovani fanciulle del popolo e nel farle lavorare, in alcuni casi, in condizione di schiavitù forzata. Queste ragazze venivano chiamate khem okhemet, termine impiegato normalmente, a partire dal Nuovo Regno, per designare appunto gli schiavi: esse venivano destinate alle faccende domestiche e alla cura delle mogli degli alti dignitari. Il termine usato per i servitori reali costretti alla schiavitù a vita fu applicato anche ai cosiddetti ushabti. Come i contadini durante la corvée, gli ushabti si occupavano dei lavori agricoli e di qualsiasi altro tipo di lavoro al posto del defunto. Per tale motivo, gli ushabti erano chiamati anche khem, esattamente come i servitori a forza esistenti durante l’Antico Regno.

Tornando alle Piramidi, rimangono invece ancora numerosi dubbi sulle tecniche di costruzione utilizzate, come ad esempio quelle inerenti al trasporto dei pesanti blocchi di granito e materiali rocciosi: tralasciando le ipotesi fantascientifiche che tirano in ballo civiltà aliene, oltre all’utilizzo di rampe ultimamente sono state avanzate tesi sull’usanza di bagnare la sabbia per diminuirne l’attrito, ma non ci sono ancora prove definitive.

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