La lingua è stanca, il luogo comune avanza (Guido Ceronetti, La Repubblica, 18/06/2014)

logo-luogo-comune0002Il luogo comune, sciagura a noi, è il linguaggio, ormai, è il parlato italiano della fine. Ne elenco un certo numero: anche un piccolo esito (cento, duecento bravi che lo escludano dalle loro comunicazioni verbali, specie se pubbliche) merita il canto di Simonide per i caduti delle Termopili. Cominciamo dal più logoro, dal più scopino di latrina infetta, dal rifugio di tutti i predicanti: rimboccarsi le maniche!

Posso dire che, nella mia lunghissima carriera scribacchina, non l’ho mai usato: lo scrivo adesso soltanto per svergognarlo, additarlo al disprezzo, schernirlo.

È il re dei luoghi comuni, un non invidiabile trono. È il transito obbligatorio di tutte le scempiaggini politiche. Signore Iddio, sappiamo quanto sei tirchio nell’elargire salvezze, ma dà orecchio a questo granellino di senape di supplica: liberaci dalle maniche rimboccate, dai loro rimboccatori, dall’ideologia rimbocchista, dal rimbocchimento generale dell’italiano medio e universitario.

Tradotta in sermone legittimo la locuzione significa molto semplicemente “lavorare con impegno”, cosa che a nessuno piace, mentre a rimboccarsi le maniche tutti sono pronti sempre. La metafora è di epoca agricola (tra il Gesualdo verghiano e il Doganiere Rousseau) ed è forse ancora perspicua in sopravvissute gare bocciofile. Oggi i benemeriti dei lavori agricoli hanno maniche corte e canottiere di filo di Scozia fragranti. Ma avrete visto il cavalier Mussolini in piedi sulla trebbiatrice, a torso nudo, tra i covoni dorati e le massaie incinte: come si sarebbe rimboccate le maniche, pur operando con tanto impegno per l’Istituto Luce?

Ritagliatevi questa superba colonna e tenete le maniche al loro posto, lontano dalle tentazioni del Maligno.

Ve ne servo altre, tutti ad altissima diffusione mediatica, scolastica, famigliare, buoni per tutte le occasioni, sempreverdi per tutte le interviste, disseminati in tutti i convegni culturali.

Il contesto globale. In quest’ottica. Si assumano le loro responsabilità. A trecentosessanta gradi. Va focalizzato. La piccola e media impresa. È nel nostro Dna. È calato nei sondaggi. Al minimo storico. Su base annua. Fuori dal tunnel. La locomotiva tira. Giovani e meno giovani. Lo Stato è presente. Si sono chiamati fuori. Un vera chicca. Si sta ancora scavando in cerca di altre vittime. Le sinergie presenti sul territorio. Nel mirino degli inquirenti. La fuga dei cervelli. Vai su WU-WU-WU. Siamo un polo di eccellenza. Subito le riforme. Le soglie di povertà. Spalmati sul territorio. Una gigantesca caccia all’uomo. Le fasce a rischio. La dieta mediterranea. Di tutto e di più. Tutto e il contrario di tutto. Le criticità. Gli uomini-radar. L’emergenza rifiuti. Ci vuole un nuovo soggetto politico. Non abbassare la guardia. La microcriminalità. Non va demonizzato. La stragrande maggioranza. Il colosso mediatico. Il Made in Italy. Pitti Uomo. Poi l’affondo. L’impatto ambientale. Sette chilometri di coda. Incasso record. Pesanti apprezzamenti. Un’Europa che guarda al futuro. Più fondi per la ricerca. È iniziato il controesodo. Stuprata dal branco. Dare un segnale forte. Le sostanze dopanti. Liberalizzare le droghe leggere. Varato il piano. La strada è tutta in salita. Si commenta da sé. Non ho la palla di cristallo. Ci sono luci e ombre. Approcciarsi alle problematiche. Le quote rosa. Bere molta acqua. Gli intrecci mafia-politica. Il presunto assassino. La malasanità. Errore umano. Molta frutta e verdura. A tasso zero. Accetto per il bene del Paese. È un Far West. È un film dell’orrore. L’ospizio-lager. Da lasciare ai giovani. Non arrivano alla fine del mese. Più tecnologia. La stanza dei bottoni. La costituzione più bella del mondo. Sull’orlo dell’abisso. È stato segretato. È stato desegretato. È stato risegretato. Assolutamente sì.

Assolutamente sì.

Mi fermo qui per potermi ricaricare, non ci vorrà molto. Una pausa per non rimboccarmi troppo le maniche.

Purtroppo la prevalenza del luogo comune indica una patologica stanchezza della lingua, un progressivo spegnimento di creatività, di cui non è difficile diagnosticare le cause, comuni a tutta Europa. La classe politica, che parla e predica esclusivamente mediante luoghi comuni, ne è avvelenata e paralizzata, come il tremendo Laocoonte vaticano. Con il popolo parlante il contagio si trasmette incessantemente. Ci vorrebbe un Quebec italofono, da qualche parte — in Mongolia… in Brasile… — perché si ripetesse il miracolo linguistico quebechese, la conservazione del francese del XVIII. La lingua è stanca. Emigrate.

“Se non hanno pane, che mangino brioches!”

Dicono che Maria Antonietta, regina di Francia tra 1774 e 1792, informata della carenza di pane a Parigi, abbia pronunciato queste parole in risposta al messaggero.

S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche”

Potremmo quasi dire che l’immagine di Maria Antonietta sia stata tramandata nei secoli a venire basando il giudizio su di lei su questa frase sprezzante nei confronti dei suoi sudditi.

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Figlia di Maria Teresa d’Austria e di Francesco Stefano di Lorena, già dalla nascita possedeva il titolo di Arciduchessa d’Austria. Per suggellare l’alleanza tra l’Austria e la Francia contro la Prussia e l’Inghilterra divenne la quattordicenne sposa del futuro Luigi XVI. Trasferitasi a corte, nella reggia di Versailles, per sopperire alla solitudine, alla noia e a un matrimonio deludente e tormentato, cominciò a vivere nelle frivolezze, dedicandosi a costosi diversivi.

La leggerezza del suo carattere e le ingerenze negli intrighi di corte le inimicarono molte delle grandi famiglie dell’antica nobiltà, che diedero il loro contributo nel diffondere maldicenze sulla regina, definita con sprezzo l’Austriaca. L’immagine di «donna frivola, irresponsabile, assetata di lusso e dissipatrice» non le si staccherà di dosso nemmeno nell’età adulta, quando iniziò a mostrare più senso di responsabilità e di riflessione e cercò anche, durante la Rivoluzione, di salvare la monarchia assoluta tramite contatti con gli aristocratici emigrati e anche con alcuni nobili liberali, come Mirabeau (futuro presidente dell’Assemblea Nazionale) e Barnave, i quali divennero disertori agli occhi del popolo quando la loro corrispondenza segreta con la regina venne scoperta nel 1792 (le spoglie di Mirabeau, morto nel ’91, furono tolte dal Pantheon e gettate nelle fogne di Parigi, mentre Barnave venne condannato a morte e ghigliottinato l’anno successivo). In rari casi la sua immagine venne associata a una figura più umile, e criticata lo stesso (paradossalmente) a tal proposito, come quando volle costruire un piccolo villaggio di dodici casette (nove delle quali ancora in piedi) nel parco di Versailles, sulla base di un quadro del pittore Hubert Robertchiamato Le Hameau: fu giudicato scandaloso che una regina ricercasse la vita semplice sul modello del mito dell’Arcadia, poiché una vita simile non era consona al suo ruolo.

Ma torniamo alla fatidica frase… abbiamo introdotto l’articolo con ‘dicono’, e questo già lasciava presagire la prossima affermazione: il fatto, cioè, che Maria Antonietta quella frase non la pronunciò mai.

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Non erano proprio così…

Partiamo con ordine: intanto cos’era la ‘brioche’ all’epoca della Rivoluzione Francese? Secondo l’Oxford Companion to Food di Aland Davidson, “la brioche del Settecento era appena appena arricchita (da modeste quantità di burro e uova) e non molto diversa da una bella forma di pane bianco“. Una tale risposta perciò, sotto questa interpretazione, potrebbe anche essere visto come un tentativo di dimostrarsi gentili, con una frase del tipo “se vogliono mangiare del pane, almeno che lo ricevano buono”.

Ma non è certo questo a scagionare Maria Antonietta: in realtà la frase è sicuramente precedente, poiché nel Libro VI de Le confessioniJean Jacques Rousseau afferma che nel 1741 si trovava da Madame de Mably dove, di nascosto, era solito bere un vino d’Arbois che aveva il potere di stimolargli l’appetito e, non volendo entrare in panetteria vestito in maniera elegante poiché sarebbe stato considerato poco consono, racconta questo aneddoto:

Allora mi ricordai il suggerimento di una grande principessa a cui avevano detto che i contadini non avevano più pane e che rispose: che mangino delle brioches. Perciò mi comprai una brioche.”

Può la principessa a cui fa riferimento Rousseau essere stata Maria Antonietta? Certamente no. Ella infatti nacque nel 1755, e sarebbe giunta in Francia soltanto nel 1770.

Ciò che probabilmente accadde fu che i suoi detrattori in un secondo momento identificarono la principessa del brano con la regnante austriaca per delegittimarla agli occhi dell’opinione pubblica, che già la disprezzava.

Secondo la storica Antonia Fraser, la biografa più recente di Maria Antonietta, la «grande principessa» di cui parla Rousseau andrebbe identificata in Maria Teresa d’Austriainfanta di Spagna e moglie di Luigi XIV. Rimane comunque una schiera di gran dame settecentesche che potrebbero averla pronunciata; quel che è certo è che almeno una delle accuse che vennero portate alla moglie di Luigi XVI era totalmente infondata.

Come andò a finire purtroppo lo sappiamo tutti: Maria Antonietta venne arrestata, processata nel 1793 per alto tradimento e il 16 Ottobre (quasi 9 mesi dopo il marito) decapitata in Place de la Revolution mediante l’uso della ghigliottina, mentre il popolo parigino gridava “Viva la Repubblica”.