Sono passati 49 giorni dalle elezioni, e ancora non abbiamo un governo.
Sono passate invece più di 2 settimane da quando il Presidente Napolitano, dopo un ulteriore giro di consultazioni inconcludenti, ha costituito un gruppo di 10 ‘saggi’, due commissioni che avrebbero dovuto, in campo istituzionale ed economico, analizzare le proposte dei vari partiti facendo delle proposte concrete che riuscissero a mettere d’accordo i vari fronti per un governo che ormai si può definire d’emergenza. Non dovevano fare molto, 5 o 6 proposte immediatamente attuabili e subito incisive. Ci saranno riusciti? E’ difficile dirlo, a prima vista; difficile perché le 130 pagine prodotte dalle 2 commissioni non assomigliano certo alle 5 o 6 proposte per cui erano stati convocati.
Passiamo ad analizzare la relazione riguardante le riforme istituzionali.
Referendum e leggi di iniziativa popolare:
“Si propone di prevedere che le leggi di revisione costituzionale possano sempre essere sottoposte a referendum popolare confermativo“: è una proposta questa? Ad occhi non attenti potrebbe sembrarla, ma l‘articolo 138 della Costituzione disciplina già i referendum costituzionali in questo senso (Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali). Inoltre, se fosse presa alla lettera non sarebbe obbligatorio il referendum: possano essere sempre è diverso da siano sempre. Allora perché inserire questo codicillo? L’unica parte dell’articolo 138 che potrebbe essere chiamato in causa è il finale, ovvero “Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.” Per quanto riguarda i referendum abrogativi, le proposte sono l’adeguamento all’attuale popolazione per il numero delle sottoscrizioni (aggiornate ai 46 milioni del 1948), la collocazione del giudizio di ammissibilità non alla fine della raccolta firme ma dopo un certo numero che ne comprovi la serietà, una migliore definizione dei criteri di ammissibilità per impedire l’uso della tecnica del ritaglio (citando la stessa Corte Costituzionale, “quella, cioè, consistente nel sottoporre al quesito referendario parole, sintagmi o brevi proposizioni privi di contenuto normativo, e ciò al solo fine di sostituire la disciplina investita dalla domanda referendaria con un’altra disciplina, assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo“), l’adeguamento del quorum e il divieto di riproporre la stessa legge entro un certo periodo di tempo.
Principio di legalità:
Dopo la proposta di aprire un confronto pubblico per decidere di progetti infrastrutturali di deciso impatto sull’ambiente, decisamente condivisibile (avrebbe risparmiato mesi e mesi di lotte in Val di Susa), si presenta un paragrafo complesso in cui in pratica si propone di rafforzare l’apparato legislativo che negli ultimi anni è stato ostaggio della comunicazione politica e non più efficace nella disciplina dei rapporti giuridici, tanto da non garantire più la possibilità di prevedere le conseguenze giuridiche dei comportamenti di ciascun individuo, invece sempre più soggette all’interpretazione individuale dei giudici. Nuovo attacco velato alla magistratura che tenta di nascondersi dietro la legge per mascherare i propri oscuri piani di conquista? Lo scopriremo nella prossima puntata.
Forma di governo e legge elettorale:
Ed ecco che iniziano le prime proposte scottanti. In un momento in cui i partiti tradizionali sembrano aver perso il proprio appeal verso gli italiani e in cui la legge elettorale contribuisce a peggiorare la situazione, cosa avranno pensato le brillanti menti dei 4 saggi per uscire dalla crisi politica? Riconoscendo il ruolo super partes del Presidente della Repubblica, molto utile nella rocambolesca situazione politica attuale, nella relazione finale leggiamo che la forma di governo parlamentare risulta più idonea ad una semi-presidenziale con elezione diretta del Capo dello Stato dove questi sarebbe anche il Capo dell’Esecutivo. E per la legge elettorale? Mantenendo il regime parlamentare bicamerale paritario, il ‘Gruppo di Lavoro’ ci ricorda (come se non avessimo assistito a nessuna delle ultime elezioni) che nessun sistema elettorale garantisce automaticamente la formazione di una maggioranza stabile in entrambi i rami del Parlamento. In Italia non siamo fatti per il bipartitismo, si potrebbe aggiungere. E allora cosa hanno ideato i saggi? Di eliminare il bicameralismo… non scherziamo, no no. Testuali parole: “Diverse sarebbero le prospettive della stabilità se si attribuisse l’indirizzo politico ad una sola Camera“. E allora saltiamo a piè pari alla parte intitolata “Superamento del bicameralismo paritario” (superamento, manco fosse qualcosa di intrinsecamente diabolico nell’avere due camere). Cosa prevederebbe il nuovo modello? Un Senato formato da rappresentanti delle Regioni, eletti da ciascun consiglio regionale, ma che non voterà più le leggi, prerogativa questa solo della Camera, a cui si chiederà anche la fiducia al governo; il Senato potrà solo proporre emendamenti e il sistema resterà bicamerale solo per le votazioni di revisione Costituzionale, le leggi elettorali e qualche altra (inutile) mansione. Il numero dei parlamentari passerebbe a 480 per la Camera e 120 per il Senato. Perciò, tornando alla legge elettorale, qual è la proposta concreta? Vengono proposti sia il modello tedesco (proporzionale), il modello spagnolo (proporzionale di collegio con perdita dei resti), un ritorno al Mattarellarum (ma eliminando lo scorporo), oppure un pastrocchio semi-proporzionale e semi-maggioritario. Tutto questo, ovviamente, in presenza della sola Camera dei Deputati soggetta ad elezioni.
Viene spontaneo chiedersi: perché 4 esperti, chiamati a cercare una veloce soluzione alla crisi politica, hanno proposto una formula che richiede al contrario mesi di dibattimenti e una riforma Costituzionale senza precedenti in quasi 70 anni di storia della Repubblica? E’ molto facile rispondere: i saggi, buoni membri della Casta o loro lacché (non ci etichettate come grillini, ora), hanno semplicemente seguito la linea dell’inciucio attualmente perseguita da politici in Parlamento, a cui non importa e non importava niente di modificare la legge elettorale, anche se presentata come un’urgenza fino a una settimana fa; sia che questa linea politica venga seguita sia che venga abbandonata comporterà comunque un altro lungo periodo di dibattiti, concentrando l’attenzione dei media sul contrasto uni/bicameralismo. E poi, credete fosse davvero così difficile decidere quale modello elettorale effettivamente si adatta meglio alla situazione italiana, invece di proporne quattro? Non abbiamo bisogno di discutere, abbiamo bisogno di agire.
Riduzione commissioni parlamentari:
Nella loro relazione finale i “saggi” ipotizzano anche la riduzione delle Commissioni parlamentari permanenti dalle attuali 22 a 9 o 10 al massimo. Nell’ipotesi più snella gli accorpamenti prevedono le seguenti commissioni: Affari costituzionali e interni dello Stato e regionali; Giustizia; Affari internazionali e sicurezza dello Stato; Bilancio, tesopro e finanze; Cultura, istruzione e telecomunicazioni; Ambiente e tutela del territorio, infrastrutture e trasporti; Attività economiche e produttive, innovazione e tecnologie; Politiche sociali, lavoro e pari opportunità; Politiche dell’Unione Europea.
Poteri e funzioni delle Regioni:
La proposta del gruppo di Lavoro è quella di accorpare le Regioni più piccole, e di ridare un ruolo centrale allo Stato nella gestione di tutte quelle infrastrutture su ruolo regionale che sono di interesse nazionale e che perciò vanno gestite dal potere centrale, mentre va ripresa in mano la riforma del Federalismo Fiscale, per dare maggiore responsabilità agli Enti Locali nella gestione dei propri bilanci, accompagnata da una serie di proposte ‘particolari’ per dare slancio all’iniziativa.
Controllo delle intercettazioni e indagini più brevi:
Altro argomento delicato, soprattutto per come viene trattato. Accanto all’introduzione dei reati di tortura e di trattamento inumano e degradante (per fare bella figura bisogna dimostrarsi umanitari, è una norma che l’ONU ha approvato nell’84, meglio tardi che mai), si ritrova però un nuovo attacco alle intercettazioni telefoniche. Cosa viene detto di preciso? Si propone “la migliore definizione sul piano legale dei presupposti sulla base dei quali gli organi delle Procure avviano e concludono le loro attività di indagine, con particolare attenzione per gli strumenti investigativi più invasivi nei confronti dei diritti fondamentali come, ad esempio, le intercettazioni delle conversazioni per le quali dev’essere resa cogente la loro qualità di mezzo per la ricerca della prova, e non di strumento di ricerca del reato”
Un ulteriore de-potenziamento a uno dei mezzi più importanti alla lotta contro il crimine, quindi? Ma non finisce qui. Si aggiunge la volontà del “contenimento della durata della fase delle indagini preliminari, così da giungere con sollecitudine al contraddittorio processuale quando questo si imponga, e un più stretto controllo giudiziario sui provvedimenti cautelari, specie allorché incidano sulla libertà personale.” Indagini più corte, meno mezzi per incriminare = più facile farla franca.
Il nuovo modello di processo e il ruolo mediatico dei magistrati:
Dato che non vogliamo interpretare nulla di questo passaggio, lo riportiamo integralmente:
Il Gruppo di lavoro rileva l’inopportunità – per istituzioni così influenti – del solo “giudizio disciplinare dei pari” e propone che il giudizio disciplinare per tutte le magistrature resti affidato in primo grado agli organi di governo interno e in secondo grado, senza ricorso a gradi ulteriori, ad una Corte, istituita con legge costituzionale. La Corte potrebbe essere composta per un terzo da magistrati eletti dalle varie magistrature (in numero uguale per ciascuna magistratura), per un terzo eletti dal Parlamento in seduta comune (all’interno di categorie predeterminate) e per un terzo da persone scelte dal Presidente della Repubblica tra coloro che hanno titoli per accedere alla Corte Costituzionale.
La volontà forse è quella di accorciare i tempi dei processi, ma qual è il significato di questo calderone? Inoltre, all’inizio della relazione si sostiene esplicitamente che ‘I conflitti ricorrenti tra politica e giustizia si affrontano assicurando che ciascun potere – quelli politici, legittimati dal processo democratico, e quello giurisdizionale, legittimato dal dovere di applicare la legge in conformità alla Costituzione – operi nel proprio ambito senza indebite interferenze in un quadro di reciproca indipendenza, di leale collaborazione, di comune responsabilità costituzionale. Una buona e costante ‘manutenzione dell’ordinamento’ e una migliore qualità della legislazione favoriscono la certezza del diritto e prevengono i conflitti“.
Quante belle parole. Peccato che i due paragrafi si contraddicano a vicenda. Come può la magistratura essere indipendente se una parte del suo potere è gestito dai politici, e per di più nella fase finale del processo (il secondo grado, se il terzo scompare)? Come si può garantire l’imparzialità di una corte in cui il terzo dei membri ha guadagnato il posto perché raccomandato dalla classe politica, e che di conseguenza ne condividerà le posizioni ideologiche o agirà per il loro tornaconto?
Inoltre, dato che i mass media costituiscono un grande potere nelle odierne società democratiche, i saggi aggiungono che il magistrato deve preoccuparsi di apparire indipendente di fronte ai mezzi di comunicazione, per non perdere la sua rispettabilità, e perciò devono essere messe in atto le regole deontologiche che vietano al magistrato ‘un uso improprio e personalistico dei mezzi di comunicazione”. Forse non si sono accorti che sono ben pochi i giudici (o ex-giudici) che usano i mass media a proprio favore (potremmo fare nomi, ma ripercorrendo la cronaca delle ultime settimane almeno uno salta all’occhio), e di solito sono tutt’altro che invisi alla classe politica, che anzi li osanna. I magistrati veri parlano quando devono farlo, in tribunale.
Si aggiunge poi una nuova norma restrittiva: quella riguardante l’impossibilità per i magistrati di esercitare la professione nelle circoscrizioni dove si è stati candidati, e viceversa di candidarsi dove si sono esercitate le proprie funzioni. Assomiglia alla norma vigente, ma notare bene: nella postilla dei ‘saggi’ non appaiono limiti di tempo. Adesso infatti un magistrato non eletto non può esercitare per 5 anni nelle circoscrizioni in esame. Applicata alla lettera comporta un’esclusione a vita. E’ questo che vogliono gli sgherri di Napolitano?
Finanziamenti ai partiti:
E qui arriva il capolavoro dei saggi (specifichiamo: il termine saggi viene continuamente ripetuto non per mancanza di sinonimi, ma per ironizzare sulla definizione). Già, perché i cosiddetti esperti erano stati chiamati per spulciare i programmi dei partiti selezionando le proposte comuni in modo da attuarle al più presto possibile. E quale norma era presente in quasi tutti i programmi elettorali dei partiti presentatisi alle elezioni? Grillo non ne voleva più sapere, i parlamentari renziani neanche, i candidati di Scelta Civica nemmeno, in extremis neanche il Pdl; il Pd ne voleva invece un ridimensionamento. Di cosa si parla? Ma ovvio, i finanziamenti ai partiti (o rimborsi elettorali, alla fine il succo è quello). Già, nessuno li voleva più. Eppure i saggi non sono d’accordo. Infischiandosene pure della volontà popolare (ahimè, l’omicidio del referendum del ’93 è uno dei casi più lampanti di distacco tra la classe politica e i comuni cittadini), gli inviati di Re Giorgio, dopo un’introduzione in cui viene spiegato a NOI che NOI siamo contrari al fatto che i NOSTRI soldi finiscano nelle LORO tasche (un’introduzione doverosa, bisogna dire), sostengono che non possono essere eliminati tali finanziamenti per non rendere la politica ostaggio delle ricchezze private. Peccato che la politica sia già ostaggio delle ricchezze private, spesso neanche italiane: chi crede ancora che il vero potere in Italia ce l’abbia gente come Brunetta provi un po’ a guardarsi allo specchio nel dirlo, e a non trattenere una risata. Che i saggi non abbiano letto attentamente i programmi? O che invece abbiano letto quelli reali, e non quelli che ci vengono propinati in campagna elettorale e in televisione?
Conflitto d’interessi:
Altro problema scottante in Italia: la soluzione viene dirottata all’Antitrust, perché le proposte non devono essere animate da spirito di parte. Che poi, a leggere bene, i saggi non consigliano “sul serio” le proposte dell’Antitrust: dicono che le valutazioni in oggetto possono “costituire la base per impostare la riflessione che conduce alla riforma”. Sembra gentilezza, ma stranamente riguardo ai finanziamenti non hanno usato tanti giri di parole. Ultime due ‘norme’ sono la costituzione dell’albo delle lobbies e dei comitati etici che controllino la Camera e il Senato.
Un capolavoro di giri di parole, non c’è che dire. E la parte economica non si presenta meglio. Speriamo solo che la maggior parte di queste proposte finisca presto nel dimenticatoio, siamo stufi di farci prendere per i fondelli.