Tacciare il malcontento popolare come semplice ignoranza rischia di minare le basi della democrazia

Foto Roberto Monaldo / LaPresse11-12-2016 RomaPoliticaQuirinale - Paolo Gentiloni è il Presidente del Consiglio incaricatoNella foto Paolo GentiloniPhoto Roberto Monaldo / LaPresse11-12-2016 Rome (Italy)Quirinale palace - Paolo Gentiloni is the the Prime Minister appointedIn the photo Paolo Gentiloni

Negli ultimi giorni, dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre e la bocciatura della riforma proposta dal governo Renzi, un enorme polverone si è sollevato attorno alla nomina a Presidente del Consiglio di Paolo Gentiloni, ex ministro degli esteri del governo dimissionario. Almeno due dei maggiori partiti, infatti, ovvero Movimento 5 Stelle e Lega, sarebbero voluti andare immediatamente alle urne, e il terzo governo in carica non nominato in seguito ad una consultazione elettorale ha ulteriormente acceso gli animi, perché da molti considerato “illegittimo” e “non eletto”.

Per quale motivo accade questo?

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Il governo americano chiude bottega: che sta succedendo?

Sono ormai quasi 3 giorni che in America è iniziato il fatidico shutdown della spesa pubblica americana. Ma cosa è successo? Cosa rappresenta questo shutdown? E esiste davvero un rischio di default dell’economia statunitense?

Cos’è lo shutdown?

In parole povere, significa che il governo USA chiuderà bottega per un po’. Il 1 ottobre iniziava il nuovo anno finanziario negli Stati Uniti, che necessitava da parte del Congresso (Senato e Camera dei rappresentanti) e del Presidente l’approvazione di un nuovo piano di spesa, quella che in Italia chiamiamo finanziaria, cioè bisognava decidere come distribuire le risorse tra le varie attività finanziate dallo Stato.

Perché non c’è un nuovo piano di spesa?

Non solo i politici italiani pensano agli affari propri, succede in tutto il mondo, perciò anche in America. Il motivo principale della disputa non sono però i processi di Silvio Berlusconi, ma gli interessi delle lobbies che sostengono il partito repubblicano e che hanno tentato fino all’ultimo di sabotare la riforma sanitaria voluta dal Presidente Barack Obama, arrivando a bloccare al Congresso il rinnovo del piano chiedendo in cambio il rinvio dell’Obamacare.

Cos’è la riforma sanitaria? 

La riforma sanitaria approvata nel marzo del 2010 è una delle leggi più vaste mai approvate dagli Stati Uniti e modifica la legislazione precedente sotto moltissimi aspetti. Negli Stati Uniti il sistema sanitario ruota attorno alle assicurazioni, stipulate direttamente dai cittadini o dai loro datori di lavoro, salvo gli anziani, protetti dal programma Medicare, e le persone a basso reddito, protette dal programma Medicaid.

La riforma di Obama non stravolge assolutamente questo quadro, cioè non introduce qualcosa di simile ai sistemi europei basati sulla spesa diretta da parte dello Stato nell’assistenza sanitaria dei singoli cittadini, ma amplia decisamente la copertura tramite tre norme principali, ovvero:

  1. Costringendo le società assicurative a concedere le loro polizze anche ai cittadini malati o affetti da patologie croniche, che prima venivano sistematicamente rifiutati;
  2. Garantendo sgravi fiscali e sussidi a un numero di cittadini americani molto più largo rispetto al passato, per permettere di acquistare una polizza anche alle persone con i redditi medio-bassi;
  3. Stabilendo per legge l’obbligo per ogni cittadino americano di contrarre un’assicurazione sanitaria entro il 2014;

Strano ma vero, mentre l’ex sfidante alle elezioni presidenziali Mitt Romney era governatore in Massachusetts aveva adottato uno schema simile, rinnegandolo in campagna elettorale dopo averlo difeso per anni.

La sentenza della Corte Suprema

Prima di provare a tagliarle le gambe per vie istituzionali, i repubblicani avevano tentato la sorte appellandosi alla Corte Suprema attaccando principalmente l’ultimo dei 3 punti esposti sopra: veniva infatti da loro, e da 26 stati su 50, contestato che l’obbligo di acquistare l’assicurazione sanitaria, cioè il cosiddetto individual mandate, costituisse una violazione della libertà dei cittadini prevista dalla Costituzione, obbligando le persone ad acquistare un prodotto. La Corte Suprema nella sua sentenza del 28 giugno del 2012 ha escluso questa incostituzionalità, ma anche negato al governo la possibilità di multare chi non si fosse adeguato alla norma, sostituendo la multa con una tassa.

Perché la riforma ritorna in gioco ora?

La riforma sanitaria doveva entrare in vigore proprio con l’inizio dell’anno fiscale, il 1 ottobre. Il Presidente Obama, prevedendo una mossa dei repubblicani, aveva affermato il 30 settembre, prima delle votazioni:

“An important part of the Affordable Care Act takes effect tomorrow, no matter what Congress decides to do today. The Affordable Care Act is moving forward. That funding is already in place. You can’t shut it down.”

La riforma sanitaria è entrata in effetti in vigore, ma non è andato tutto liscio.

Cos’è successo al congresso?

Il Senato nel pomeriggio di lunedì (30 settembre) aveva respinto il testo approvato domenica dalla Camera, che finanziava le attività del governo inserendo però un articolo che rinviava di un anno l’Obamacare. A favore della bocciatura del testo della Camera si erano espressi 54 senatori, contrari invece 46.

In serata il provvedimento era tornato dunque alla Camera, che aveva approvato con 228 voti favorevoli e 201 contrari un testo mitigato, che non bocciava in toto la riforma sanitaria ma reintroduceva il rinvio di un anno di alcuni punti cruciali dell’Obamacare, come l’individual mandate, la bestia nera dei repubblicani.

Il Senato, con un voto arrivato alla velocità della luce (meno di un’ora dopo di quello della Camera), aveva nuovamente respinto il testo con 54 voti favorevoli e 46 contrari, rispedendolo alla Camera per l’ennesima volta senza le norme riguardanti la riforma sanitaria. A quel punto la Camera ha rinunciato a mettere ai voti nuovamente un testo analogo ai precedenti, di fatto spianando la strada allo shutdown.

E’ già successo?

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Bill Clinton

Sembra una situazione paranormale, ma si è verificato già in 17 occasioni dal 1977. Ad oggi, sono 17 anni che non si ripete dallo storico “face-off” tra Bill Clinton e la Camera controllata dai Repubblicani, quando la saracinesca del governo statunitense rimase chiusa dal 16 dicembre 1995 al 6 gennaio 1996: Clinton aveva posto il veto sul taglio della spesa pubblica proposto dai repubblicani, che avrebbe reso più ardui gli obiettivi del presidente riguardo ambiente, educazione e salute. Dal 1 ottobre al 13 novembre tramite una “continuing resolution” venne permesso il finanziamento provvisorio dei vari reparti fino all’approvazione di un budget definitivo. Il 13 novembre, non essendo stato raggiunto un accordo, venne effettuato lo shutdown, che in una prima tranche durò solo 6 giorni, perché sembrava fosse stata stabilita una linea di dialogo. Fallite le contrattazioni, venne ri-proclamato il 16 dicembre per venire definitivamente ritirato il 6 gennaio.

Cosa comportò lo shutdown del ’95-96?

I servizi sanitari e sociali per i veterani militari furono ridotti al minimo, nessun nuovo paziente di ricerca clinica venne accolto presso il National Institutes of Health, e i lavori per lo sgombero di rifiuti tossici in 609 siti si arrestò. Altre conseguenze: la chiusura di 368 parchi nazionali portò alla perdita di circa sette milioni di visitatori, 200.000 richieste di passaporti e da 20.000 a 30.000 domande di visto da parte di stranieri non vennero concesse durante ogni giorno di stallo e le compagnie aeree statunitense dovettero sostenere milioni di dollari di perdite. A risentirne più duramente furono il 20% degli impiegati federali, il cui compenso corrispondeva a 3.7 miliardi di dollari di spesa.

Quali sono le attività che stanno risentendo attualmente dello shutdown?

La paralisi delle attività è stata solo parziale, ma certamente non trascurabile. Lo stop ha riguardato infatti le attività governative considerate non essenziali, mettendo a rischio il posto di lavoro di 800.000 impiegati statali che sono stati lasciati a casa (salvo quelli impiegati nella posta, nella sicurezza nazionale e in alcuni servizi sanitari), mentre a un milione di altri è stato chiesto di lavorare gratis:

  • Ingressi sbarrati nei 401 parchi nazionali Usa, tra cui il Grand Canyon, Yellowstone e Yosemite, con quest’ultimo che il 1 ottobre festeggiava un triste compleanno: mentre Google celebrava con un apposito Doodle proprio i 123 anni del parco nazionale, questo veniva chiuso al pubblico.
  • Anche la Statua della Libertà, il monumento simbolo di New York e degli interi Stati Uniti, ha chiuso i battenti. Liberty Island, gestita dal National Park Service – agenzia federale duramente colpita dal blocco – è destinata a restare momentaneamente chiusa per la mancanza di fondi.
  • La Casa Bianca non è visitabile. Al numero 1600 di Pennsylvania Avenue opera al momento un personale ridotto e le visite turistiche sono sospese, mentre il sito della residenza presidenziale non verrà aggiornato “a causa”, si legge, “del fallimento del Congresso”. Che è anch’egli serrato per i visitatori, tour rimandati “fino a nuovo avviso”.
  • Sono stati chiusi al pubblico anche i memoriali, tra cui quelli dedicati a Lincoln, Martin Luther King e Franklin Delano Roosevelt a Washington. A causa della paralisi della pubblica amministrazione, sono state spente le 45 fontane della Capitale.
  • Porte chiuse allo Smithsonian e al National Zoo di Washington, dove verrà oscurata anche la famosa Panda Cam per osservare la crescita del cucciolo di cinque settimane. Il personale verrà utilizzato soltanto per nutrire e accudire gli animali.
  • Compleanno amaro anche per l’agenzia spaziale americana, la NASA, diventata operativa esattamente 55 anni fa il 1 ottobre. In seguito alla paralisi della pubblica amministrazione, il 97% dei suoi impiegati sono rimasti senza stipendio. Gli unici a ricevere una paga regolare sono coloro i quali si occupano di sicurezza dei satelliti e degli astronauti che si trovano nello spazio, sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale). Saranno garantiti anche i servizi del National Weather Service e del National Hurricane Center, per le previsioni meteo e il monitoraggio di tempeste potenzialmente pericolose. Durante questi giorni di attesa gli americani potranno invece dire addio al servizio di allerta sul passaggio di asteroidi e comete: l’account Twitter del Jet Propulsion Laboratory della Nasa entrerà momentaneamente in letargo.
  • Migliaia di americani potrebbero non essere in grado di ottenere il passaporto per i viaggi all’estero, e turisti che viaggiano verso gli Stati Uniti potrebbero dover sopportare ritardi nella elaborazione di visto, come successo nel ’95-96.
  • I programmi federali degli Stati Uniti che forniscono circa il 30 per cento di tutti i nuovi prestiti nel mercato immobiliare – la spina dorsale dell’economia del paese – sono stati chiusi. I finanziamenti governativi di nuove imprese sono stati anch’essi fermati, così come le ispezioni di sicurezza per la salute sul luogo di lavoro.
  • Le donne incinte e le neo mamme che sono povere e a “rischio nutrizionale” non saranno in grado di acquistare alimenti sani, per colpa dell’arresto del Special Supplemental Nutrition Program for Woment Infants and Children di 6 miliardi di dollari.

Cosa ne pensano gli americani?

Secondo un sondaggio della Cbs il 72% degli americani disapprova il fatto che si sia arrivati alla chiusura del governo per il braccio di ferro sull’Obamacare. E, di conseguenza, per il 44% degli intervistati considera i repubblicani responsabili dello stallo, mentre il 35% punta il dito contro Barack Obama e i democratici. Per il 17% le colpe sono da entrambe le parti.

Quali sono le possibili conseguenze sulla situazione economica americana?

Lo shutdown riguarda un disaccordo sulle spese future, ma potrebbe velocemente entrare in gioco anche il debito pubblico. Secondo la legge, infatti, il limite per il debito USA è pari a 16.7 miliardi di dollari e secondo le proiezioni, tale limite sarà raggiunto verso la metà di ottobre, il 17. A quel punto, se non verrà raggiunto un accordo, l’America, la più grande economia del mondo, dovrà dichiarare default sul proprio debito, non avendo in cassa i soldi per ripagare gli interessi sui Buoni del Tesoro sparsi per il mondo. Già, perché i repubblicani controllano tutt’ora la Camera, e scenderanno a patti solo in cambio di tagli all’Obamacare. Quando si dice che i politici vengono eletti per rappresentare gli interessi del popolo…

Uno stop di qualche giorno potrebbe non avere conseguenze devastanti sulla situazione economica, ma siamo già al terzo giorno di saracinesca abbassata, e i timori degli investitori potrebbero essere molto più forti delle convinzioni della parte estremista del partito repubblicano. Oggi pomeriggio alle 18.15 (ora italiana) il Dow Jones perdeva l’1.11 % (il Dow Jones è il principale indice azionario della Borsa di New York, calcolato soppesando i principali 30 titoli di Wall Street), mentre il Nasdaq l’1.43% (il Nasdaq è l’indice dei principali titoli tecnologici della borsa americana). Non sono perdite da capogiro, ma potremmo solo essere agli inizi, e l’economia americana sta decisamente peggio che sotto la presidenza Clinton. Secondo l’agenzia di rating Moody’s, uno shutdown di due settimane comporterebbe un freno sul Pil dello 0.3%; un mese di fermo, invece, si mangerebbe l’1.4% della crescita annua degli Stati Uniti. Un serio stop dell’economia americana potrebbe avere ripercussioni serie sull’intera economia mondiale, del calibro addirittura della crisi del 2008.

Default

Come uscirne?

Quello che pure l’opinione pubblica, e non solo Obama e i democratici, vedono come un vero e proprio ricatto alla macchina dello Stato non è sostenuto però dall’intero partito repubblicano: alcuni di loro stanno già manovrando per togliersi dall’impiccio, come il presidente della Camera John Boehner, di sua natura moderato. Quello che sta accadendo conferma un imbarbarimento della politica americana e l’impossibilità materiale al momento di raggiungere compromessi bipartisan. Come si spiega questa situazione? Negli ultimi due decenni il partito repubblicano si è spostato su posizioni decisamente più estreme, che gli sono costate l’alienazione quasi permanente di intere fasce di elettorato: non solo giovani e donne, ma anche quasi tutte le minoranze etniche. La reazione dei repubblicani non è stata una distensione della propria politica, ma una chiusura atta a blindare i collegi elettorali rimasti. Negli Stati dove si trovano al governo hanno operato per ostacolare la partecipazione al voto delle minoranze, ormai filo-democratiche, ridisegnando le circoscrizioni in modo da garantirsi lo stesso deputati e senatori nonostante lo spostamento dei voti popolari. Una politica che, per non perdere il sostegno delle lobbies, è sfociata in una guerra aperta contro Obama e i democratici, che però rischia di portare il partito intero all’implosione. I moderati al suo interno lo sanno bene. Obama ha già detto chiaramente che non tratterà sull’aumento del tetto del debito: non resta che aspettare e vedere se i moderati riusciranno a riprendere in mano le redini del Grand Old Party, e sperare che il 17 ottobre arrivi il più tardi possibile…

Il capolavoro dei saggi di Napolitano

Sono passati 49 giorni dalle elezioni, e ancora non abbiamo un governo.

Sono passate invece più di 2 settimane da quando il Presidente Napolitano, dopo un ulteriore giro di consultazioni inconcludenti, ha costituito un gruppo di 10 ‘saggi’, due commissioni che avrebbero dovuto, in campo istituzionale ed economico, analizzare le proposte dei vari partiti facendo delle proposte concrete che riuscissero a mettere d’accordo i vari fronti per un governo che ormai si può definire d’emergenza. Non dovevano fare molto, 5 o 6 proposte immediatamente attuabili e subito incisive. Ci saranno riusciti? E’ difficile dirlo, a prima vista; difficile perché le 130 pagine prodotte dalle 2 commissioni non assomigliano certo alle 5 o 6 proposte per cui erano stati convocati.

Passiamo ad analizzare la relazione riguardante le riforme istituzionali.

Referendum e leggi di iniziativa popolare:

Si propone di prevedere che le leggi di revisione costituzionale possano sempre essere sottoposte a referendum popolare confermativo“: è una proposta questa? Ad occhi non attenti potrebbe sembrarla, ma l‘articolo 138 della Costituzione disciplina già i referendum costituzionali in questo senso (Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali). Inoltre, se fosse presa alla lettera non sarebbe obbligatorio il referendum: possano essere sempre è diverso da siano sempre. Allora perché inserire questo codicillo? L’unica parte dell’articolo 138 che potrebbe essere chiamato in causa è il finale, ovvero “Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.” Per quanto riguarda i referendum abrogativi, le proposte sono l’adeguamento all’attuale popolazione per il numero delle sottoscrizioni (aggiornate ai 46 milioni del 1948), la collocazione del giudizio di ammissibilità non alla fine della raccolta firme ma dopo un certo numero che ne comprovi la serietà, una migliore definizione dei criteri di ammissibilità per impedire l’uso della tecnica del ritaglio (citando la stessa Corte Costituzionale, “quella, cioè, consistente nel sottoporre al quesito referendario parole, sintagmi o brevi proposizioni privi di contenuto normativo, e ciò al solo fine di sostituire la disciplina investita dalla domanda referendaria con un’altra disciplina, assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo“), l’adeguamento del quorum e il divieto di riproporre la stessa legge entro un certo periodo di tempo.

Principio di legalità:

Dopo la proposta di aprire un confronto pubblico per decidere di progetti infrastrutturali di deciso impatto sull’ambiente, decisamente condivisibile (avrebbe risparmiato mesi e mesi di lotte in Val di Susa), si presenta un paragrafo complesso in cui in pratica si propone di rafforzare l’apparato legislativo che negli ultimi anni è stato ostaggio della comunicazione politica e non più efficace nella disciplina dei rapporti giuridici, tanto da non garantire più la possibilità di prevedere le conseguenze giuridiche dei comportamenti di ciascun individuo, invece sempre più soggette all’interpretazione individuale dei giudici. Nuovo attacco velato alla magistratura che tenta di nascondersi dietro la legge per mascherare i propri oscuri piani di conquista? Lo scopriremo nella prossima puntata.

Forma di governo e legge elettorale:

Ed ecco che iniziano le prime proposte scottanti. In un momento in cui i partiti tradizionali sembrano aver perso il proprio appeal verso gli italiani e in cui la legge elettorale contribuisce a peggiorare la situazione, cosa avranno pensato le brillanti menti dei 4 saggi per uscire dalla crisi politica? Riconoscendo il ruolo super partes del Presidente della Repubblica, molto utile nella rocambolesca situazione politica attuale, nella relazione finale leggiamo che la forma di governo parlamentare risulta più idonea ad una semi-presidenziale con elezione diretta del Capo dello Stato dove questi sarebbe anche il Capo dell’Esecutivo. E per la legge elettorale? Mantenendo il regime parlamentare bicamerale paritario, il ‘Gruppo di Lavoro’ ci ricorda (come se non avessimo assistito a nessuna delle ultime elezioni) che nessun sistema elettorale garantisce automaticamente la formazione di una maggioranza stabile in entrambi i rami del Parlamento. In Italia non siamo fatti per il bipartitismo, si potrebbe aggiungere. E allora cosa hanno ideato i saggi? Di eliminare il bicameralismo… non scherziamo, no no. Testuali parole: “Diverse sarebbero le prospettive della stabilità se si attribuisse l’indirizzo politico ad una sola Camera“. E allora saltiamo a piè pari alla parte intitolata “Superamento del bicameralismo paritario” (superamento, manco fosse qualcosa di intrinsecamente diabolico nell’avere due camere). Cosa prevederebbe il nuovo modello? Un Senato formato da rappresentanti delle Regioni, eletti da ciascun consiglio regionale, ma che non voterà più le leggi, prerogativa questa solo della Camera, a cui si chiederà anche la fiducia al governo; il Senato potrà solo proporre emendamenti e il sistema resterà bicamerale solo per le votazioni di revisione Costituzionale, le leggi elettorali e qualche altra (inutile) mansione. Il numero dei parlamentari passerebbe a 480 per la Camera e 120 per il Senato. Perciò, tornando alla legge elettorale, qual è la proposta concreta? Vengono proposti sia il modello tedesco (proporzionale), il modello spagnolo (proporzionale di collegio con perdita dei resti), un ritorno al Mattarellarum (ma eliminando lo scorporo), oppure un pastrocchio semi-proporzionale e semi-maggioritario. Tutto questo, ovviamente, in presenza della sola Camera dei Deputati soggetta ad elezioni.

Viene spontaneo chiedersi: perché 4 esperti, chiamati a cercare una veloce soluzione alla crisi politica, hanno proposto una formula che richiede al contrario mesi di dibattimenti e una riforma Costituzionale senza precedenti in quasi 70 anni di storia della Repubblica? E’ molto facile rispondere: i saggi, buoni membri della Casta o loro lacché (non ci etichettate come grillini, ora), hanno semplicemente seguito la linea dell’inciucio attualmente perseguita da politici in Parlamento, a cui non importa e non importava niente di modificare la legge elettorale, anche se presentata come un’urgenza fino a una settimana fa; sia che questa linea politica venga seguita sia che venga abbandonata comporterà comunque un altro lungo periodo di dibattiti, concentrando l’attenzione dei media sul contrasto uni/bicameralismo. E poi, credete fosse davvero così difficile decidere quale modello elettorale effettivamente si adatta meglio alla situazione italiana, invece di proporne quattro? Non abbiamo bisogno di discutere, abbiamo bisogno di agire.

Riduzione commissioni parlamentari:

Nella loro relazione finale i “saggi” ipotizzano anche la riduzione delle Commissioni parlamentari permanenti dalle attuali 22 a 9 o 10 al massimo. Nell’ipotesi più snella gli accorpamenti prevedono le seguenti commissioni: Affari costituzionali e interni dello Stato e regionali; Giustizia; Affari internazionali e sicurezza dello Stato; Bilancio, tesopro e finanze; Cultura, istruzione e telecomunicazioni; Ambiente e tutela del territorio, infrastrutture e trasporti; Attività economiche e produttive, innovazione e tecnologie; Politiche sociali, lavoro e pari opportunità; Politiche dell’Unione Europea.

Poteri e funzioni delle Regioni:

La proposta del gruppo di Lavoro è quella di accorpare le Regioni più piccole, e di ridare un ruolo centrale allo Stato nella gestione di tutte quelle infrastrutture su ruolo regionale che sono di interesse nazionale e che perciò vanno gestite dal potere centrale, mentre va ripresa in mano la riforma del Federalismo Fiscale, per dare maggiore responsabilità agli Enti Locali nella gestione dei propri bilanci, accompagnata da una serie di proposte ‘particolari’ per dare slancio all’iniziativa.

Controllo delle intercettazioni e indagini più brevi:

Altro argomento delicato, soprattutto per come viene trattato. Accanto all’introduzione dei reati di tortura e di trattamento inumano e degradante (per fare bella figura bisogna dimostrarsi umanitari, è una norma che l’ONU ha approvato nell’84, meglio tardi che mai), si ritrova però un nuovo attacco alle intercettazioni telefoniche. Cosa viene detto di preciso? Si propone “la migliore definizione sul piano legale dei presupposti sulla base dei quali gli organi delle Procure avviano e concludono le loro attività di indagine, con particolare attenzione per gli strumenti investigativi più invasivi nei confronti dei diritti fondamentali come, ad esempio, le intercettazioni delle conversazioni per le quali dev’essere resa cogente la loro qualità di mezzo per la ricerca della prova, e non di strumento di ricerca del reato”

Un ulteriore de-potenziamento a uno dei mezzi più importanti alla lotta contro il crimine, quindi? Ma non finisce qui. Si aggiunge la volontà del “contenimento della durata della fase delle indagini preliminari, così da giungere con sollecitudine al contraddittorio processuale quando questo si imponga, e un più stretto controllo giudiziario sui provvedimenti cautelari, specie allorché incidano sulla libertà personale.” Indagini più corte, meno mezzi per incriminare = più facile farla franca.

Il nuovo modello di processo e il ruolo mediatico dei magistrati:

Dato che non vogliamo interpretare nulla di questo passaggio, lo riportiamo integralmente:

Il Gruppo di lavoro rileva l’inopportunità – per istituzioni così influenti – del solo “giudizio disciplinare dei pari” e propone che il giudizio disciplinare per tutte le magistrature resti affidato in primo grado agli organi di governo interno e in secondo grado, senza ricorso a gradi ulteriori, ad una Corte, istituita con legge costituzionale. La Corte potrebbe essere composta per un terzo da magistrati eletti dalle varie magistrature (in numero uguale per ciascuna magistratura), per un terzo eletti dal Parlamento in seduta comune (all’interno di categorie predeterminate) e per un terzo da persone scelte dal Presidente della Repubblica tra coloro che hanno titoli per accedere alla Corte Costituzionale.

La volontà forse è quella di accorciare i tempi dei processi, ma qual è il significato di questo calderone? Inoltre, all’inizio della relazione si sostiene esplicitamente che ‘I conflitti ricorrenti tra politica e giustizia si affrontano assicurando che ciascun potere – quelli politici, legittimati dal processo democratico, e quello giurisdizionale, legittimato dal dovere di applicare la legge in conformità alla Costituzione – operi nel proprio ambito senza indebite interferenze in un quadro di reciproca indipendenza, di leale collaborazione, di comune responsabilità costituzionale. Una buona e costante ‘manutenzione dell’ordinamento’ e una migliore qualità della legislazione favoriscono la certezza del diritto e prevengono i conflitti“.

Quante belle parole. Peccato che i due paragrafi si contraddicano a vicenda. Come può la magistratura essere indipendente se una parte del suo potere è gestito dai politici, e per di più nella fase finale del processo (il secondo grado, se il terzo scompare)? Come si può garantire l’imparzialità di una corte in cui il terzo dei membri ha guadagnato il posto perché raccomandato dalla classe politica, e che di conseguenza ne condividerà le posizioni ideologiche o agirà per il loro tornaconto?

Inoltre, dato che i mass media costituiscono un grande potere nelle odierne società democratiche, i saggi aggiungono che il magistrato deve preoccuparsi di apparire indipendente di fronte ai mezzi di comunicazione, per non perdere la sua rispettabilità, e perciò devono essere messe in atto le regole deontologiche che vietano al magistrato ‘un uso improprio e personalistico dei mezzi di comunicazione”. Forse non si sono accorti che sono ben pochi i giudici (o ex-giudici) che usano i mass media a proprio favore (potremmo fare nomi, ma ripercorrendo la cronaca delle ultime settimane almeno uno salta all’occhio), e di solito sono tutt’altro che invisi alla classe politica, che anzi li osanna. I magistrati veri parlano quando devono farlo, in tribunale.

Si aggiunge poi una nuova norma restrittiva: quella riguardante l’impossibilità per i magistrati di esercitare la professione nelle circoscrizioni dove si è stati candidati, e viceversa di candidarsi dove si sono esercitate le proprie funzioni. Assomiglia alla norma vigente, ma notare bene: nella postilla dei ‘saggi’ non appaiono limiti di tempo. Adesso infatti un magistrato non eletto non può esercitare per 5 anni nelle circoscrizioni in esame. Applicata alla lettera comporta un’esclusione a vita. E’ questo che vogliono gli sgherri di Napolitano?

Finanziamenti ai partiti:

E qui arriva il capolavoro dei saggi (specifichiamo: il termine saggi viene continuamente ripetuto non per mancanza di sinonimi, ma per ironizzare sulla definizione). Già, perché i cosiddetti esperti erano stati chiamati per spulciare i programmi dei partiti selezionando le proposte comuni in modo da attuarle al più presto possibile. E quale norma era presente in quasi tutti i programmi elettorali dei partiti presentatisi alle elezioni? Grillo non ne voleva più sapere, i parlamentari renziani neanche, i candidati di Scelta Civica nemmeno, in extremis neanche il Pdl; il Pd ne voleva invece un ridimensionamento. Di cosa si parla? Ma ovvio, i finanziamenti ai partiti (o rimborsi elettorali, alla fine il succo è quello). Già, nessuno li voleva più. Eppure i saggi non sono d’accordo. Infischiandosene pure della volontà popolare (ahimè, l’omicidio del referendum del ’93 è uno dei casi più lampanti di distacco tra la classe politica e i comuni cittadini), gli inviati di Re Giorgio, dopo un’introduzione in cui viene spiegato a NOI che NOI siamo contrari al fatto che i NOSTRI soldi finiscano nelle LORO tasche (un’introduzione doverosa, bisogna dire), sostengono che non possono essere eliminati tali finanziamenti per non rendere la politica ostaggio delle ricchezze private. Peccato che la politica sia già ostaggio delle ricchezze private, spesso neanche italiane: chi crede ancora che il vero potere in Italia ce l’abbia gente come Brunetta provi un po’ a guardarsi allo specchio nel dirlo, e a non trattenere una risata. Che i saggi non abbiano letto attentamente i programmi? O che invece abbiano letto quelli reali, e non quelli che ci vengono propinati in campagna elettorale e in televisione?

Conflitto d’interessi:

Altro problema scottante in Italia: la soluzione viene dirottata all’Antitrust, perché le proposte non devono essere animate da spirito di parte. Che poi, a leggere bene, i saggi non consigliano “sul serio” le proposte dell’Antitrust: dicono che le valutazioni in oggetto possono “costituire la base per impostare la riflessione che conduce alla riforma”. Sembra gentilezza, ma stranamente riguardo ai finanziamenti non hanno usato tanti giri di parole. Ultime due ‘norme’ sono la costituzione dell’albo delle lobbies e dei comitati etici che controllino la Camera e il Senato.

Un capolavoro di giri di parole, non c’è che dire. E la parte economica non si presenta meglio. Speriamo solo che la maggior parte di queste proposte finisca presto nel dimenticatoio, siamo stufi di farci prendere per i fondelli.